mercoledì 23 novembre 2011

Autunno - Arsenico

Poche ormai son le foglie rimaste sugl’alberi. E a poco a poco cadono aiutate da una leggera brezza o dal peso della rugiada del mattino.
La natura si sveste e riaffiora la malinconia di un paesaggio spoglio e crudo. Una visione di ciò che c’è ma che l’occhio non vede quando è sereno come la primavera e l’estate. Perché la malinconia è questa, vedere nel profondo di se stessi e di ciò che ci circonda. Gli alberi infondo non sono un tronco marrone e una chioma verde, come quei disegni che si facevano sui banchi delle elementari, usando i pastelli a cera che rallentavano il tratto lasciando non solo il colore ma anche la sua sostanza.
Un uomo quando non ama è come l’albero che vedo fuori dalla finestra. Nudo di ogni essenza, preparato ormai all’inverno, al buio e alla solitudine del freddo. Al suo cospetto i sogni decaduti, le speranze ormai ingiallite dal tempo, decomposte in forme ormai lontane da quelle che tratteneva a celar la sua tristezza.
Certo la speranza della primavera, quella prossima dopo il gelo, c’è. Ma gli inverni sembrano cosi lunghi ormai. Il sole latita sempre più, come pure i colori accesi e se prima in casa si stava solo per dormire o mangiare qualcosa, ora diventa una tana per un letargo dove i rami spogli son più evidenti,  e anche se sei fatto della stessa fibra della quercia nulla puoi con la malinconia del ricordo delle esperienze passate, degl’amici trovati e persi, degl’amori assaggiati forse semplicemente in un’illusione e poi spariti nel silenzio, o peggio, nelle scelte di cui non hai avuto peso. E ci sono attimi in cui metti in discussione tutto, perfino i complimenti e i pareri positivi che hai collezionato negl’anni, le logiche che muovono il tuo pensiero e la morale. Incominci anche ad odiare il tuo corpo, i tuoi occhi che seppur belli non ti fan vedere nulla. Come le foglie per l’albero cadono le tue certezze senza pensare più alla primavera. Alla fine vorresti cedere che sei stato battuto dal pregiudizio, dal vento della socialità, dalla rugiada della tua storia, dalla goffaggine del tuo corpo, dalla logica del tuo pensiero, dal fatto che mentire è meglio, come rubare è meglio di guadagnarsi onestamente il tuo riconoscimento. Riprendi le fila della memoria e ti accorgi di quanta e troppa vemenza hai messo nei rapporti quando avresti dovuto dire solo mi dispiace e lasciar correre le parole ascoltate come sospiri di vento senza che quell’aria ti entrasse dentro.
Ti spogli nudo come quella quercia e ti metti davanti lo specchio e ti guardi. Guardi le tue forme distorte, reali, senza senso, come l’amore. Apparenza che dice ma non dice nulla. O tutto.
Ma l’amore è bugiardo e come l’immagine riflessa tu non puoi fare a meno di credergli.

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